La domanda "le persone sorde parlano?" è una domanda comune che nasce da una curiosità reale riguardo a un mondo di cui molte persone conoscono poco. La risposta è complessa: sì, molte persone sorde e ipoacusiche parlano, ma quanto bene riescono a farlo, quale metodo usano e se scelgono di farlo è molto personale e complesso. Non si tratta di una risposta semplice sì o no.
Questo articolo ti aiuterà a capire questa complessità. Esamineremo il rapporto dettagliato tra udito e linguaggio, le tecnologie e i trattamenti che supportano, e i diversi modi in cui la comunità delle persone sorde e ipoacusiche (D/HH) comunica tra loro. Il nostro obiettivo è andare oltre le domande semplici e favorire una comprensione più profonda e rispettosa della comunicazione in tutte le sue forme.
La risposta è complessa

La capacità di una persona D/HH di usare il linguaggio parlato si manifesta su diversi livelli. La parola "sordo" di per sé non significa una sola cosa; include un’ampia gamma di livelli uditivi, esperienze e identità. Per questo motivo, se una persona sorda parla — e come si manifesta il suo parlato — dipende da molti fattori diversi, non solo da una causa.
Una gamma, non un interruttore on/off
È importante capire che “Sordo” e “Ipoacusico” descrivono molte esperienze differenti. Alcune persone hanno una perdita uditiva lieve o media e possono parlare quasi perfettamente, con la loro ipoacusia difficile da notare in molte situazioni. Altre, completamente sorde, possono usare la voce ma il loro parlato può essere difficile da comprendere per una persona udente non familiare. Altre ancora scelgono di non usare affatto la voce, preferendo altri modi di comunicare. Non esiste un'unica “esperienza sorda” per quanto riguarda il linguaggio parlato.
Comprendere un "accento sordo"
Quando una persona D/HH parla, il suo parlato può suonare diverso, spesso definito "accento sordo" o "parlato sordo". Questo non è un problema di linguaggio o un segno di scarsa intelligenza. È invece il risultato naturale e prevedibile del fatto di imparare a parlare senza poter sentire tutto chiaramente. Le persone udenti ascoltano costantemente se stesse e regolano tono, volume e pronuncia ascoltando la propria voce. Senza questo feedback, una persona D/HH si affida ad altri indizi — come la vibrazione delle corde vocali o la posizione della lingua — che creano pattern di parlato diversi.
Diversi fattori chiave influenzano quanto bene una persona sviluppa il linguaggio parlato:
- Il grado di perdita uditiva: Il livello di udito, da lieve a totale, è un fattore principale.
- Quando ha perso l’udito: Se la persona è nata sorda (prima di apprendere la lingua) o ha perso l’udito dopo aver imparato a parlare (dopo aver appreso la lingua).
- Accesso alla tecnologia: Se utilizza dispositivi come apparecchi acustici e impianti cocleari e quanto questi funzionano bene.
- Tipo di educazione e terapia: Il tipo specifico di training ricevuto, come la terapia uditiva speciale o la logopedia generale.
- Scelta personale e culturale: Ciò che la persona preferisce e il suo legame con la cultura sorda e la lingua dei segni.
Come l’udito influenza il parlato
Per comprendere perché parlare può essere difficile per le persone D/HH, dobbiamo prima capire come le persone udenti imparano a parlare. Questo processo dipende molto dall’ascolto dei suoni sin dalla nascita. L’udito è il modo principale con cui apprendiamo la lingua parlata.
Il circuito di feedback uditivo
Sin da quando sono bambini, i soggetti udenti sono immersi in un mondo di suoni. Ascoltano le voci delle loro figure di riferimento e il loro cervello inizia a collegare suoni a significati. Questo porta al balbettio, in cui il bambino sperimenta con la produzione di suoni. La parte fondamentale di questo processo è il circuito di feedback uditivo:
- Ascoltare: Il bambino sente la lingua dagli altri.
- Parlare: Il bambino prova a imitare quei suoni.
- Autocorrezione: Il bambino sente la propria voce e la riesamina spontaneamente per migliorarla, avvicinandola ai suoni che sente dagli altri.
Questo ciclo naturale e costante di pratica e correzione è il modo in cui impariamo a padroneggiare le complesse dinamiche del parlato, compresi tono, volume e la precisa articolazione di vocali e consonanti. Per una persona D/HH questo circuito è interrotto o del tutto assente. Imparare a parlare senza di esso è come imparare a suonare un pianoforte che non si può sentire — si possono imparare i tasti da premere, ma padroneggiare tono, dinamica e melodia è estremamente difficile.
Prima del linguaggio vs dopo il linguaggio
L’età in cui si verifica la perdita uditiva è molto importante.
Una persona che diventa sorda dopo aver imparato a parlare è considerata sorda post-linguisticamente. Queste persone spesso mantengono un parlato chiaro perché il cervello ha già formato le vie per il linguaggio. Il loro parlato può modificarsi nel tempo, con una minor capacità di monitorarsi, diventando forse più piatto o meno chiaro, ma la base è già presente.
Al contrario, una persona nata sorda o che ha perso l’udito prima di apprendere la lingua è sorda pre-linguisticamente. Per loro, l’intero processo di apprendimento del parlato deve avvenire senza il principale strumento utilizzato per farlo. Devono imparare a formare suoni e parole con un impegno consapevole e deliberato, spesso con anni di terapia specializzata. I primi tre anni di vita sono il periodo più importante per l’apprendimento della lingua, secondo il National Institute on Deafness and Other Communication Disorders (NIDCD). Quando questa finestra è influenzata dalla perdita uditiva, il percorso verso il linguaggio parlato cambia completamente. Mostra una grande forza umana il fatto che molti riescano a farcela.
Il percorso verso il linguaggio parlato
Per le persone D/HH che scelgono di sviluppare il linguaggio parlato, il percorso implica quasi sempre una combinazione di tecnologia avanzata e terapia intensiva e specializzata. Questi strumenti non “curano” la sordità ma possono fornire accesso ai suoni, creando una base su cui costruire il parlato.
Supporto tecnologico
La tecnologia moderna offre strumenti potenti per le persone D/HH, ma è importante capire cosa fanno e quali sono i loro limiti.
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Apparecchi acustici: Questi dispositivi amplificano i suoni. Captano i suoni dall’ambiente circostante, li amplificano e li trasmettono nel canale uditivo. Funzionano meglio per chi ha un residuo uditivo (perdita da lieve a grave) perché stimolano le cellule ciliate funzionanti nell’orecchio interno.
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Impianti cocleari (CIs): Un impianto cocleare è un dispositivo molto più complesso. Viene impiantato chirurgicamente e aggira le parti danneggiate dell’orecchio interno, stimolando direttamente il nervo uditivo con segnali elettrici. È pensato per persone con perdita uditiva grave o totale che non traggono beneficio dagli apparecchi acustici. Un impianto cocleare non ripristina un udito normale. Fornisce un tipo di segnale sonoro nuovo e diverso che il cervello deve imparare a interpretare.
| Caratteristica | Apparecchi acustici | Impianti cocleari |
|---|---|---|
| Come funziona | Amplifica acusticamente il suono | Stimola elettricamente il nervo uditivo |
| Indicati per | Perdita uditiva da lieve a grave | Perdita uditiva da grave a totale |
| Invasività | Non invasivi, indossati esternamente/in orecchio | Impianto chirurgico + processore esterno |
| Qualità del suono | Amplifica i suoni esistenti | Fornisce un segnale sonoro diverso |
Per molti, imparare a sentire con un impianto cocleare è come imparare una nuova lingua. I primi suoni possono sembrare robotici o strani e ci vogliono mesi o anni di allenamento dedicato per collegare quei segnali a parole e suoni significativi.
Il ruolo della logopedia
La tecnologia da sola non basta. La logopedia, con un professionista qualificato (logopedista), è ciò che favorisce il progresso. Il logopedista lavora con la persona D/HH per sviluppare le capacità fisiche del parlare. Poiché il circuito di feedback uditivo è compromesso, la terapia si concentra sull’uso di altri sensi.
Le tecniche comprendono spesso:
* L’uso di specchi per permettere alla persona di vedere la forma di labbra e bocca nella produzione dei suoni.
* Sentire la vibrazione della gola o la soffio d’aria dalle labbra per distinguere suoni come “p” e “b”.
* Imparare l’esatta posizione della lingua contro i denti o il palato per suoni come “t”, “d” e “l”.

Questo è un processo consapevole e attento di costruzione della memoria muscolare. Richiede una grande dedizione da parte della persona e del suo sistema di supporto. Ciò che un bambino udente impara naturalmente in pochi anni, un bambino D/HH può impiegare un decennio o più di impegno focalizzato per padroneggiarlo.
La gamma della "voce"
Forse la trasformazione più importante nella comprensione è ampliare la definizione di cosa significa “parlare” o avere una “voce”. Limitare l’idea di comunicazione a solo usare le corde vocali è una visione esclusiva che non coglie i modi ricchi e diversificati in cui le persone D/HH esprimono sé stesse. La “voce” di una persona è la sua capacità di condividere pensieri, emozioni e idee — e questo può avvenire in molti modi diversi.
Un Approccio Multi-Metodo
La maggior parte delle persone, udenti o meno, utilizza più metodi per comunicare. Usiamo le mani, le espressioni facciali e il linguaggio del corpo per aggiungere enfasi e significato alle parole pronunciate. Per le persone sorde e ipoacusiche (D/HH), questo insieme di metodi è spesso ancora più sviluppato e fondamentale. La loro "voce" è come un arazzo tessuto da fili diversi:
- Lettura labiale (Speechreading): Molte persone D/HH diventano abili nella lettura delle labbra per comprendere il linguaggio parlato. Tuttavia, non è perfetta; si stima che solo circa il 30% dei suoni inglesi siano visibili sulle labbra. Contesto e intuizione giocano un ruolo enorme.
- Scrittura: Nell’era digitale, la scrittura è una forma di comunicazione potente e diretta. Messaggi di testo, email e social media hanno reso tutto più equo, permettendo conversazioni chiare e dettagliate senza dipendere dal suono.
- Gesti e Linguaggio del Corpo: Le persone D/HH spesso hanno una maggiore consapevolezza del linguaggio del corpo e dei gesti, usandoli con grande intenzione e chiarezza per trasmettere significato.
- Lingua dei Segni: Per milioni di persone D/HH nel mondo, la lingua dei segni non è un sostituto della parola parlata, ma una lingua completa e grammaticalmente ricca. L’American Sign Language (ASL), ad esempio, è una lingua distinta con una propria sintassi e struttura, capace di esprimere tutto, dalle idee semplici alle poesie più complesse.
Trovare la Propria Voce
Il percorso di ogni persona è unico, modellato dalle sue circostanze e scelte. Considera questi due esempi comuni:
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Considera “Anna”, nata completamente sorda, che ha ricevuto un impianto cocleare a un anno di età. Dopo anni di terapia intensiva uditivo-verbale, comunica principalmente tramite l’inglese parlato. Naviga con successo nel mondo degli udenti, ma trova le stanze rumorose faticose a causa dello sforzo di ascoltare. Con gli amici più stretti, si affida molto agli SMS per conversazioni più rilassate. La sua voce è una fusione di parole parlate e testo scritto.
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Poi c’è “Leo”, cresciuto in una famiglia di persone sorde e che ha frequentato una scuola per sordi. Per lui, l’American Sign Language (ASL) è la sua lingua madre. È il modo in cui pensa, sogna e esprime le sue idee più profonde. Le sue espressioni facciali e l’uso dello spazio mentre firma sono eloquenti come una splendida frase poetica. Scrive bene in inglese per lavoro e scuola, ma non usa la voce per parlare. La sua voce sta nelle sue mani.
Sia Anna che Leo hanno una voce. Entrambi comunicano efficacemente. Le loro storie mostrano che il successo non si misura dalla capacità di imitare il parlato degli udenti, ma dalla capacità di connettersi e farsi comprendere.
Solo Parlato vs. Due Lingue
La decisione di concentrarsi sul linguaggio parlato non è solo pratica; è anche profondamente radicata in dibattiti storici, culturali e filosofici all’interno della comunità D/HH. Comprendere questo contesto è fondamentale per apprezzare perché la scelta della comunicazione sia così importante.
La Storia dell’Educazione Solo Parlato
Per gran parte della fine del 1800 e del 1900, la filosofia educativa principale per le persone sorde era l’Oralismo. Questo approccio credeva che l’obiettivo primario per le persone D/HH fosse imparare a parlare e leggere le labbra per integrarsi nel mondo degli udenti. In molte scuole che seguivano questo metodo, l’uso della lingua dei segni veniva attivamente scoraggiato o addirittura vietato. Si riteneva che affidarsi alla lingua dei segni potesse ostacolare lo sviluppo delle abilità di linguaggio parlato. Pur essendo spesso benintenzionato, questo approccio del “parlare a tutti i costi” metteva una grande pressione sui bambini D/HH e, in alcuni casi, li lasciava senza una lingua pienamente sviluppata se faticavano a padroneggiare la parola.
L’Ascesa dell’Educazione a Due Lingue, Due Culture
Negli ultimi decenni, una filosofia diversa ha guadagnato popolarità: l’approccio Bilingue-Biculturale (Bi-Bi). Questo modello considera le persone D/HH come una minoranza linguistica e culturale e sostiene un’educazione che abbraccia sia la lingua dei segni sia la lingua scritta/parlata del loro paese.
I benefici dell’approccio Bi-Bi sono importanti:
- Accesso precoce alla lingua: Garantisce che un bambino D/HH sia esposto sin da piccolo a una lingua completa e accessibile (come l’ASL), fondamentale per lo sviluppo cerebrale, indipendentemente dai progressi con la lingua parlata.
- Benefici per il cervello: La ricerca ha dimostrato costantemente che essere bilingue porta a numerosi vantaggi cerebrali, inclusi migliori capacità di problem solving e flessibilità mentale.
- Identità culturale: Connette la persona alla ricca storia, comunità e cultura delle persone sorde, fornendo un forte senso di identità e appartenenza.
- Meno pressione: Rimuove il peso del “successo” o “fallimento” legato esclusivamente all'abilità di parlare, valorizzando tutte le forme di comunicazione.
Una Decisione Personale
Oggi, il consenso tra la maggior parte degli educatori ed esperti, comprese organizzazioni come la National Association of the Deaf (NAD), è che non esista una soluzione valida per tutti. L’attenzione si è spostata verso la “comunicazione totale” e l’empowerment delle famiglie affinché prendano decisioni informate basate su ciò che è meglio per il proprio bambino. La scelta di parlare, firmare o usare una combinazione di entrambi è personale. Non è una misura dell’intelligenza, capacità o valore di una persona.
Abbracciare Tutte le Forme di Comunicazione
Quindi, le persone sorde parlano? Sì, molte lo fanno, con uno sforzo incredibile e con l’aiuto della tecnologia. Molte altre comunicano con uguale eloquenza e profondità attraverso le mani e la scrittura. La capacità di parlare è una competenza che si situa su un ampio spettro, influenzata dalla perdita uditiva, dall’educazione ricevuta e dalla scelta personale.
Il percorso per sviluppare il linguaggio parlato per una persona D/HH è spesso lungo e difficile, richiedendo un livello di dedizione che la maggior parte degli udenti non deve mai considerare. È una testimonianza della loro forza, non un’aspettativa di base.
In definitiva, la “voce” riguarda molto più dei suoni prodotti dalle corde vocali. È espressione di sé, connessione ed essere ascoltati. Il metodo specifico utilizzato è molto meno importante del messaggio condiviso.
La prossima volta che ti chiedi “le persone sorde parlano?”, ricorda di riformulare la domanda in “come possiamo comunicare al meglio?”. La risposta si trova sempre nel rispetto reciproco e nella volontà di connettersi.